Relazione delle pubbliche feste fatte dalla città di Milano alli 7 di giugno 1716, per la nascita del Serenissimo arciduca Leopoldo, principe delle Asturie . on trova modi, Ne trova lingua accenti A figurar poilenti Tuo 58; Tuo valor, eli è quel tanto gradito , Tu quel tanto giocondo A CARLO, ali* Auftria, al Mondo Tu il fofpirato tanto Dal noftro affetto, e pianto» Giorno dognaltro giorno Più graziofo e ì ricco ti ftai Dauguftiflìmi rai , Che tutta Arcadia indori: Così col tuo rifiorì Gentile influflo quefle Mufe or liete, già mefte; Che da tue dolci tempre Auran fpirit


Relazione delle pubbliche feste fatte dalla città di Milano alli 7 di giugno 1716, per la nascita del Serenissimo arciduca Leopoldo, principe delle Asturie . on trova modi, Ne trova lingua accenti A figurar poilenti Tuo 58; Tuo valor, eli è quel tanto gradito , Tu quel tanto giocondo A CARLO, ali* Auftria, al Mondo Tu il fofpirato tanto Dal noftro affetto, e pianto» Giorno dognaltro giorno Più graziofo e ì ricco ti ftai Dauguftiflìmi rai , Che tutta Arcadia indori: Così col tuo rifiorì Gentile influflo quefle Mufe or liete, già mefte; Che da tue dolci tempre Auran fpirito te, tranquillo, e chiaro. Giorno, fen ritornaro Dolce ridenti, e viviprati, ì Dolchi, ì rivi* E laure ftan ferene, E le campagne piene Dinnafpettate biade. Per te lalme rugiade A pafeer van le fchiere Dell api venturiere: 59E vaghe di novelle Erbe le pecorelle, Ch avcan per lunga fame, Le membra inferme, e grame, Al prato fan ritornd Per te, foave giorno. Tale, o bel giorno, fei ; Che a tutti gli anni rei Lofcurità perdono. Or morte afTolvos e fono Certo, che un dì sì grato Non può più darmi il fato,1 Di Vefolno Aereo P, CAN- 6o CANZONE. UN penfier caldo damoreSì maccefe, e mi fé lieve, Che di me mi traile fuore, E ogni via divenne breve; Onde giunfi dAuftria a i Numi, E dellinclita Prole io vidi i lAuguflo Pargoletto Dolce, e grave il ciglio gira; Poi forride amorofetto, MentrElifa, e Carlo mira , Con tal grazia, e tal beltade, Che fa pargoleggiar la Genj a lui dintorno Van provando al petto , a i crini, Smerigliati più del giorno Vaghi elmetti, e usberghi fini. Un lo feudo, e laltro prende Picciol brando, e un bel lampo indi vaccende,Al balen de tedi arnell Sfavillar le pupillette* E vaurebbe i bracci iteli, Se le membra eran men flrette Nelle fafee . Allor rivolfe 11 guardo al forte Eugenio, e più noi tolfe. In 6i In que lumi il Prence armato Bevve gioja, e bevve foco; E la delira al manco lato Pofta, giura: quindi


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